Recensione da letto – Dark Places ***SPOILER***
– Dolcezza, parliamoci chiaro…
– Eh?
– Sei venuta a vedermi per caso. Non perchè hai visto il trailer o perchè ci fosse dell’hype sulla mia uscita, figuriamoci. Non sono il tipo di film che genera hype.
– In effetti no, Dark Places…
– Allora è perchè la mia protagonista è Charlize Theron? Oppure, aspetta, perchè sono tratto da un libro di Gillian Flynn, la stessa che ha scritto il romanzo Gone Girl?
– Un po’ tutti e due. Il tuo regista, Gilles Paquet-Brenner, quello di La chiave di Sara, è conosciuto più in Francia che nel resto del mondo. Con te ha evitato di sviare l’attenzione dalla storia con virtuosismi tecnici, ma a tratti la regia risulta un po’ piatta…
– Dai, dillo pure: si sente la mancanza di David Fincher.
– Un po’ sì, è inevitabile… Ma non di Gillian Flynn, se può consolarti.
– Cioè?
– Beh, racconti la storia di una donna sulla trentina, Libby, che da piccola è sopravvissuta al massacro della propria famiglia: un caso mediatico nazionale che le ha permesso, tra iniziative di beneficenza e diritti sui libri, di campare senza far nulla. Poi i soldi finiscono, e Libby viene avvicinata dal fondatore del “Kill Club”: un gruppo di squinternati il cui hobby è risolvere vecchi casi irrisolti.
– Sì, la mia trama comincia così…
– Quindi hai una cosa in comune con Gone Girl: riesci ad inquadrare alla perfezione quanto sia facile manipolare l’opinione pubblica negli Stati Uniti, quanto quel popolo sia ossessionato per le teorie del complotto, per i casi irrisolti, per tutto ciò che è famoso. E più ancora, riesci a mettere a fuoco come oggi tutto sia in vendita: per qualche centinaio di dollari, una ragazza accetta di rivivere il trauma dell’assassinio della propria famiglia.
– Tutto chiaro, però Gone Girl è piaciuto un botto, mentre a me arrivano “responsi critici misti”, maledizione, e non parliamo del box office…
– Mah, il film di Fincher non è piaciuto a tutti, forse per la struttura narrativa insolita. Nel tuo caso, Dark Places… Ecco, diciamo che si possono individuare alcuni punti deboli.
– Fammi indovinare: la voce fuori campo.
– Bravo. La voce fuori campo stona da morire: sembra un espediente usato in mancanza di una narrazione veramente efficace e in generale sa da vecchio. Poi, il cast…
– Eh… era meglio se Nicholas Hoult restava a fare il figlio di guerra in Mad Max, giusto?
– Eh, che ci vuoi fare… È un attore giovane, qualche scivolone ci può stare. A breve tornerà nei panni del mutante in X-Men: Apocalypse e avrà un ruolo da produttore stronzo in Kill Your Friends. Può certamente sperare di diventare qualcosa di più di una bella faccia, però con te è proprio un pesce fuor d’acqua. E lo stesso vale per gli altri: con l’eccezione forse di Chloë Grace Moretz non c’è solo un personaggio convincente, e probabilmente più a causa delle scelte di casting campate in aria che della prestazione degli attori…
Con l’eccezione di Charlize Theron, ovviamente…
– Ovviamente. Sostanzialmente, mi tiene in piedi da sola.
– Eggià. Recupera qualche tratto della protagonista di Young Adult e restituisce una Libby Day insicura e smarrita, che cerca rifugio nell’aggressività e nella solitudine. Ma vabbè, inutile parlarne: Charlize Theron è quel genere di attrice che si sposta tra film drammatici, thriller, fantasy e fantascienza senza mai perdere un colpo. Di questi tempi, è merce rara, e come dici tu, Dark Places, ti tiene in piedi da sola.
– Questo significa che ti sei divertita, nonostante tutto?
– Massì, Dark Places. Il romanzo da cui sei tratto è molto buono e Charlize Theron non sbaglia un colpo. E il filone dei “thriller sociologici” sta andando forte, anche grazie alle serie TV…
– Bene, allora sto sereno. Tu non farai fatica ad addormentarti, dopo tutte le mie scene cruente?
– No, Dark Places… Dormiremo sonni tranquilli.